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lunedì 6 ottobre 2008

pinoemarisa

Ieri una mia amica che non vedo da molto tempo mi ha scritto sulla mia social iutiliti di cui mi vergogno a scrivere il nome perche' io no, io sono un blogger, mica uno che usa feisbuc (cazzo) chiedendo mie notizie con fare affettuoso e, tra mille dettagli non richiesti sui suoi numerosi impegni di donna in carriera, mi ha chiesto quando torno perche' LEI mi vuole sempre bene e, dopo che le ho risposto la settimana prossima, nel messaggio successivo, sempre con lo stesso tono pratico ed indaffarato, mi ha detto che nel weekend porta al mare le nonne quindi al massimo ci vediamo a SANTA.
Certo.
Aspettami. Dammi solo il tempo di atterrare (se atterro) dopo 40 ore di volo e cinque mesi di assenza e cerco subito un taxi per SANTA. E' un po' che ho voglia di vedere le tue nonne.

Ecco, questo per dire che torno. Torno nella mia cittadina, e la cosa figa e' che mi lamentero' con fare annoiato e vagamente spocchioso che tutto e' rimasto uguale, ma il realta' il problema e' che io saro' rimasto uguale, visto che mi trovero' esattamente al punto di partenza.

Beh, non proprio tutto, dai. Mi hanno detto per esempio che pinoemarisa ha rinnovato, adesso e' un locale al passo coi tempi. Non so pero' che fine abbiano fatto pinoemarisa, spero stiano bene. Lo scopriro' presto, in ogni caso, dato che non avro' molto da fare se non reimmergermi nel liquido amniotico della mia rassicurante realta' locale.

Si si, va la, poche balle, altro che Zelandia, io sono uno da pinoemarisa. A chi la voglio raccontare.

Adesso che ho giocato un po' all'esploratore mi aspetta la merenda sul tavolo della cucina ed il telecomando sul divano. Il rumore della lavatrice che gira ed il gatto che mi si struscia tra i piedi. Non andro' piu' in nessun posto non raggiungibile in ciabatte.

Quindi, a rpensarci, mi sa che non se ne fa niente anche per SANTA.


venerdì 12 settembre 2008

Non he ho voglia II - rettifica al precedente post

Ci ho pensato un po' e mi sono reso conto che non e' proprio vero che non ho voglia di fare niente.
Magari mi sono lasciato prendere la mano, spesso mi capita di esagerare solo per il gusto di scrivere frasi ad effetto.
Mi sono messo li' ed ho fatto una lista delle cose che in effetti ho voglia di fare.
Le ho divise per categorie (che mente organizzata).

1) cose che ho spesso voglia di fare:
- le seghe (molto spesso)
- guardare filmati con le donne nude (spesso collegata alla prima, ma non sempre)
- andare sul sito della gazzetta (non leggere gli articoli, attenzione)
- arricciare i bordi delle pagine con le dita (con altre parti del corpo in effetti sarebbe scomodo)
- le gare di scoregge (ne ho anche vinte eh)
- guardarmi allo specchio (anche se quello che vedo raramente mi soddisfa. A meno che non sia buio)

2) cose che non ho quasi mai voglia di fare ma che in genere faccio per necessita'/convenzione sociale:
- respirare (con parsimonia)
- mangiare/bere (categoria che comprende anche la conseguente e successiva espulsione di rifiuti liquidi/solidi. Anche se a volte cagare e' un piacere, ammettiamolo)
- tagliarmi le unghie (spesso sono tentato di tagliare solo quelle della mano sinistra, visto che per quelle della destra devo impugnare la forbice con l'altra mano ed e' piu' faticoso)
- lavarmi i denti (specialmente la sera quando ho sonno e' veramente dura, e comunque dovrei riconsiderarne la necessita' visto che non facendolo mi eviterei molte delle relazioni interpersonali che mi provocano inutile fatica, ad esempio il punto successivo)
- rispondere alle domande (magari se ripetute piu' di una volta)
- alzarmi dal letto (prima o poi)
- guardare la tv (nel senso che raramente quello che guardo mi interessa, ma una volta accesa e' troppo faticoso smettere di guardarla. soprattutto alzarsi dalla poltrona/divano)
- in generale, mantenere un'approssimativa igiene personale (diciamo che quando lo sporco diventa scomodo/fastidioso mi rassegno a rimuoverne la quantita' necessaria per rientrare appena sotto la soglia del fastidio)
- fingere di fare qualcosa quando qualcuno mi guarda (lo faccio raramente comunque. Di solito non fingo nemmeno)

poi ci sono le cose che proprio non ho voglia di fare e che semplicemente non faccio. vediamole.

1) tutto il resto.

mercoledì 10 settembre 2008

Non ne ho voglia.

Guardiamo in faccia la realta'.

Non ne ho voglia.

Non ne ho voglia e basta, non c'e' niente che io possa fare per cambiare questo dato di fatto.
Notoriamente, il miglior modo per assicurarsi che la voglia di fare qualcosa non ti venga mai, mai fino alla fine del tempo, e' cercare di farsi venire voglia di fare quella cosa.

La voglia non te la fai venire, ti viene o no. Non dipende da te.

Non e' colpa mia quindi.

Non e' colpa mia se non ho voglia di fare quello che devo fare oggi.

Non e' colpa mia se non avevo voglia di farlo ieri.

Sara' ancor meno colpa mia quando non avro' voglia di farlo domani.

Vi prego, credetemi. Non lo faccio apposta. Io vorrei avere voglia.

Ma la voglia di avere voglia non e' sufficiente a farmi venire voglia.

Io ci provo, lo giuro, ma piu' ci provo e peggio e'. E non potete dire che non ci ho provato. Cazzo, se uno va fino in nuova cazzo di zelanda per vedere se almeno la' c'e' qualcosa che ha voglia di fare, vuol dire che ci ha provato.

Niente da fare.
Non ho voglia di fare un cazzo.

L'unica cosa che vorrei adesso e' essere disteso su un divano e farmi carezzare la testa come un cane da passeggio.

lunedì 1 settembre 2008

Dover partire, saper tornare.

Si può camminare diretti verso qualcosa, o si può camminare solo per camminare. Io non so dove sono diretto.

28 febbraio di quest'anno.

Non so non partire, non so non tornare. Una quadrupla negazione per dare una forma alla mia confusione. Al mio sentirmi come la negazione di qualcosa, l'affermazione di nulla.

Scrivevo queste cose, il 28 febbraio di quest'anno. Vittima della contraddizione di sentirsi imprigionato dalle possibilita', mi sentivo come qualcuno chiuso fuori da una gabbia in cui non puo' entrare.

Ho viaggiato in questi giorni. Verso posti a lungo sfiorati con l'immaginazione e finalmente toccati, calpestati, osservati, annusati, vissuti.

Ho vissuto l'appagamento di quando si scopre che desiderare un luogo non significa sempre essere destinati a non andarci mai. A cercarne dei surrogati.

Ho vissuto l'indipendenza che viene dalla solitudine, e la solitudine che viene dall'indipendenza.

Ho abbandonato il luogo dove avevo vissuto gli ultimi mesi, che da meta di un viaggio e' diventato il posto in cui faccio ritorno dopo un viaggio.

Non si puo' chiamare un posto casa se non ci si ritorna da un viaggio.

Ho letto una cosa scritta da un amico, una cosa scritta un anno fa e riportata adesso, come ho fatto io con il 28 febbraio di quest'anno.

Parla del suo viaggio. Di come vi sia giunto spinto solo (solo?) dall'esistenza delle possibilita'. Io penso a quando lessi le stesse parole un anno fa, e di come mi sentissi attratto dalle possibilita' che vi leggevo.

Poi penso a come mi sentivo imprigionato dall'esistenza delle stesse possibilita', prima di partire per questo viaggio.

Adesso, rileggendo quelle parole, ripensando al mio viaggio appena concluso, so che dovevo partire. Per non essere quello che non sa tornare perche' non sa partire. Perche' questa era la prima partenza vera e non potevo continuare a vivere nell'inganno di partenze finte e ritorni finti.

Perche' una partenza vera ti costringe a cercare una traiettoria. Ed un motivo per tornare.

Un motivo vero.

E, tra partenza e ritorno, ti costringe a trovare qualcosa da essere.

Nel frattempo.

Oggi ho letto anche un'altra cosa, scritta da un'altra persona. Alla fine, diceva:

torna.

Si. Adesso ho un motivo per tornare. Se non fossi partito non avrei potuto tornare. Ma adesso si. Adesso so dove sono diretto.

Torno.

giovedì 14 agosto 2008

Quo usque tandem abutere, Brandingwalsh, patientia nostra?

Non vi preoccupate, tra un po' chiudo.

Ultimamente va di moda chiudere i blog, ma solo quelli di successo, quindi la chiusura di questo non andrebbe vista come un tentativo di adeguarsi alla moda.

Piu' che altro, l'intrinseco valore di questo blog e' la sua assoluta mancanza di valore informativo. Mi spiacerebbe chiuderlo solo per questo, rappresentava (parliamone al passato va') un esempio unico di assenza di contenuti. Autoreferenzialita' autoreferenziale. Ma il bello e' che non sono riuscito nemmeno a parlare di me.
Ad esempio, sta zelandia no?

Alzi la mano chi ha capito qualcosa di com'e' sto posto.

Tra poco credo che verro' smascherato e tutti capiranno che sono chiuso in un capanno per gli attrezzi in un campo vicino a viguzzolo da circa tre mesi.
Mi sento un po' come quello di intudeuaild. Massi', quello che si e' infilato in halasca (si scrive cosi'? sto ancora imparando l'inglese) e non riusciva piu' a uscire.
Io avrei la statale a 50 metri, ma un contadino ha messo il lucchetto alla porta del capanno.
Ma non vi preoccupate, ho il plasma con lettore dvd ed un sacco di porno, sky, skype, flickr, tumblr, twitter, un avatar e qualche malware a tenermi compagnia.
Se avessi anche la corrente elettrica tutto funzionerebbe meglio, specialmente il plasma, che cosi' si vede bene (di giorno) ma e' sempre uguale.
Ieri il contadino e' venuto a bussare ma io gli ho detto di lasciarmi stare che sono in nuova zelandia.
Non sembrava convinto, lo zotico. Forse perche' non parla inglese.

Ieri pensavo che forse nel mio futuro vi e' una carriera ecclesiastica.

Cioe', la vocazione la sento, per carita'. Poi Don Branding suona bene. O Don Walsh.

Il problema e' che temo mi chiederebbero di smettere di bestemmiare.

Almeno durante la messa.

mercoledì 30 luglio 2008

quando un soffio di vento ti stende a terra

A volte ti capita di sentirti saldo sulle gambe.
Ti sembra di avere camminato tanto, su percorsi anche difficili. Faticosi.
Ti sembra di aver continuato a camminare controvento.
E per questo ti senti le gambe stanche, dure.
Ma salde.
Ti dici, mi hanno portato fino a qui, se le sento dure e mi fanno male vuol dire che le ho fatte andare. Che stanno diventando forti.
Ti danno persino il tempo di guardarti intorno, e vedere che intorno e' bello.
Non sei piu' concentrato solo sul dolore dei muscoli sforzati.
Ti guardi anche alle spalle, e vedi che di strada ne hai fatta, e quello che hai visto ti piace, dopotutto.
E cosi' puoi guardare alla strada che rimane e pensare che forse sara' ancora piu' bella, e che allo stesso tempo ne manca meno, e che il traguardo non e' piu' cosi' lontano.

A volte pensi tutte queste cose, e per un attimo la stanchezza non la senti quasi piu'.

Poi, all'improvviso, arriva un soffio di vento, quasi impercettibile.

E ti ritrovi per terra.

lunedì 21 luglio 2008

Attiviamoci

Cioè, veramente, che blog.

Per favore, raccogliete un po' di firme per chiuderlo.

Si, lo so che siete in 3.

Vabbé, facciamo che bastano 2 firme.

Speditele in busta sigillata a:

Branding Walsh
Nuova Zelandia.

venerdì 11 luglio 2008

60 seconds challenge

Dopo una mattinata di interessanti ricerche su temi di primaria importanza come la sostenibilita’, la standardizzazione culturale ad opera dei brand globali, nonche’ sui danni provocati dalle corporation al sistema economico mondiale, ho sentito il bisogno di uscire dall’ufficio e procurarmi un bacon cheesburger ed un quarter pounder da McDonald’s.

Avvicinandomi al bancone, noto un cronometro di fianco al registratore di cassa, ed un’insegna che dice “60 seconds challenge”.
In pratica, se dal momento in cui i soldi passano dalle tue mani a quelle della cassiera a quello in cui nelle tue mani viene posato un fagotto di carne geneticamente modificata e chimicamente insaporita passano piu’ di 60 secondi, hai diritto ad un Big Mac gratuito.

Di fianco alla cassiera asiatica, in un angolo, siede imperturbabile la Signora Che Controlla, colei che e’ responsabile dell’efficienza dei cassieri e, un brivido mi corre lungo la schiena, del loro eventuale castigo.

Tocca a me. Inizia la sfida.

Premo start sul cronometro e vengo investito dal fuoco di fila delle domande.

PICCOLO O GRANDE!
...ehm... piccolo...
MANGI QUI O PORTI VIA!
Via!
DA BERE COCA?!?
s-si... si! SI!
DA QUANTO NON SCOPI?!?
...
ehm, no, forse questa l’ho solo immaginata (ma non e’ che ci pensi tanto eh)

Quando rispondo all’ultima domanda la ragazza asiatica scompare, per riapparire in un tempo insensatamente breve con in mano un sacchetto.

Guardo il cronometro. Sono passati 18 secondi.

Mentre prendo il fagotto che l’ansante ma soddisfatta ragazza asiatica mi porge, ho la certezza che, se per qualche motivo il panino non fosse arrivato in tempo, la Signora Che Controlla le avrebbe porto un coltello da macellaio e lei si sarebbe mozzata una mano porgendomela sorridente tra due fette di pane.

giovedì 10 luglio 2008

Future of the future

Oggi mi sono accorto che tutte le opzioni per il mio futuro finiscono con -ente.

- consulente
- dipendente
- deficiente
- niente


(mi sembra del tutto pleonastico sottolineare che sono elencate in ordine crescente di probabilita')

sabato 28 giugno 2008

oggi è proprio un giorno da post

Oggi è proprio un giorno da post.

Non mi sono mai alzato dal letto, oggi, la mia vescica mi comunica la sua incredulità ad intervalli regolari ma io ho deciso di ignorarla a costo di lancinanti dolori e del rischio di dormire sotto il letto (questa è bella, la dovete sentire. Nella stanza di ostello dove un mio conoscente, stimato olandese, ha trovato alloggio, ad un certo punto entra un tipo correndo e blaterando frasi sconnesse, prende il suo cuscino e si mette a dormire sotto il letto, sul pavimento. Si è scoperto il giorno dopo che si era pisciato a letto, ma nessuno ha cambiato il materasso così quello dopo di lui ci ha dormito sopra).

L'immagine più significativa di ieri notte è lo stimato olandese seduto in un bar dove entra la pioggia, con i ridicoli riccioli tutti bagnati che fissa la pinta di birra davanti a sé continuando a ripetere fucking place fucking people fucking new zealand fuck everything e poi con fare cordiale mi annuncia che va a dormire altrimenti mette le mani addosso a qualcuno. Io gli sorrido, lo saluto con affetto e penso che ho fatto proprio bene a venire qui.

Qualche tequila dopo sono nel letto con il mal di testa ed in mano una fetta di pizza che ho trovato in un cartone abbandonato in cucina, il computer ovviamente è acceso, dato che non l'ho spento nemmeno durante la cena con i miei conoscenti, l'ho tenuto per mettere la musica ma poi mentre la mettevo senza che me ne accorgessi tac si apre la casella di posta (strano, di solito non si apre da sola...) e sempre senza accorgermene mi sono trovato a leggere, e tanto meno mi sono accorto di stare rispondendo durante la cena, cioé, mi sono messo a scrivere con alcolico impeto seduto sul divano mentre la gente degustava vino a poco prezzo intorno a me.
Sono alla frutta. Anzi, alla pizza avanzata (dagli altri).

Da stamattina non ho fatto granché, a parte cambiare laboriosamente posizione nel letto per 4 o 5 volte. Ma anche volendo, fuori piove. Tanto, e a scrosci. Come sempre. Ottima stagione per godere del clima oceanico (non credo si possa dire atlantico perché non siamo sull'atlantico) in tutta la sua simpatica piovosità del cazzo.

Tuttavia, amici, non mi sento di cattivo umore. Direi piuttosto che non ho umore.

Che bel giorno da post.


Ah, a proposito, con questo post raggiungo per la prima volta la doppia cifra in un mese, non ero mai andato sopra i 9. Che bella persona che sono.

martedì 17 giugno 2008

sogni estremi

Il sogno è un pendìo.

Un pendio che per qualcuno è ripido, vi precipita a velocità folle, risucchiato verso il basso dalla realtà, che nel sogno dello sciatore è la gravità.
Altri vorrebbero che fosse un pendio dolce, su cui descrivere ampie curve pigre, e potersi fermare in ogni momento.
Forse perché, tempo prima, si sono schiantati scivolando dalle pareti verticali dei loro sogni più estremi.

Io sono un sognatore dell'estremo.
Appeso a lamine affilate come le mie paure, sfido inclinazioni improbabili, percorro incredulo panorami sconvolti dalla pendenza, annullo qualche limite e ne scopro mille altri.
Ogni curva è allo stesso tempo una preghiera ed una sfida a Dio. Ogni curva mi fa esultare e mi terrorizza. Mi commuove e mi dispera.
Ci vuole coraggio a sognare.
Come lo sciatore estremo sa che ogni curva può essere l'ultima, il sognatore estremo sa che questa volta potrebbe non riaversi dopo l'impatto con la realtà.
Fare sogni estremi è estremamente pericoloso.

Chi rischia ogni volta si ripete che in fondo corre il rischio minore.
Il cinismo ed il disincanto azzerano le pendenze. Appiattiscono le montagne. Sono forze, quelle sì, spaventose.
In fondo, si dice il sognatore estremo prima di affrontare l'ennesimo salto impossibile, mentre un lieve sorriso increspa la tensione del viso,

in fondo, chi non rischia di cadere è perché è già per terra…

lunedì 16 giugno 2008

Sunny (16/2/2008)

sei entrata di corsa lamentandoti che era tutto buio

e con un gesto improvviso hai spostato le tende.

(sunny)

mercoledì 11 giugno 2008

Sul perché sono qui

Io non sono nato per essere un ingranaggio.
Non sono nato per fare un passo alla volta. Né per essere guidato su una strada già frequentata.
La mia vita non dev'essere come la riga sull'asfalto dell'autostrada (biancogrigiobiancogrigiobianco).
La mia vita dev'essere una strada di campagna, pietrosa, polverosa e incolta, tutta curve, fossi e gobbe.
Ora gira angusta, ti chiude lo sguardo dietro ad un colle erboso. Ora si spalanca verso una vallata arrugginita dal sole del tramonto, tuffandosi folle per ripidi declivi, poi salendo stanca, tra faticosi tornanti.
E procede così, tra muri d'erba e sconfinati orizzonti, vivendo delle storie che raccontano il sole, le nuvole ed il vento.
Finché, ad un certo momento, l'aria si fa diversa e, tremolante nel vuoto, cade la neve.

martedì 10 giugno 2008

Flyin' high in the friendly sky

Mi capita a volte di scambiare il giorno con la notte.

Di sentire il giorno pesarmi sugli occhi, di muovermi a rallentatore dentro un' ovattata spossatezza.

Di sentire, poi, la sera che si fa strada tra gli stipiti delle porte, ed entrare in uno stato di vaga attesa.

Di attendere nel buio il sonno e trovarvi al suo posto una strana lucidità. Come se quello fosse il momento che i miei pensieri scelgono per affacciarsi fuori dal loro rifugio.

L'aria della sera li invoglia ad uscire.

Così, come falene, svolazzano per un po' intorno alla mia testa per poi uscire nella notte. Ma torneranno, come tutte le creature notturne, prima della luce.

Mi capita così di accogliere la sera con fare amichevole.

Mi capita poi, all'inizio del nuovo giorno, di aprire gli occhi e non desiderare altro che richiuderli.


flying-marvin

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sabato 7 giugno 2008

Laughter through tears

Che poi adesso a parlar di amici me ne viene in mente pure un'altra di amica, che poi e' quella che mi ha scritto quella cosa sul fallire sottosopra che dicevo due post fa.
Mi sa che le e' sembrata una mancanza di rispetto che l'ho messa sul mio blog dove la possono leggere tutti senza nemmeno chiedere, tra l'altro neanche le ho risposto ma non per cattiveria, anzi, e' che a volte a me sembra di essere deprimente e ci avevo paura di peggiorare la situazione che io purtroppo non son capace di dire cose indipendenti dal mio umore.
Ma secondo me ho anche pensato che io a quella donna li' non c'ho mica niente da dirle, nel senso, quella li' e' una con le palle, figurati se le devo insegnare qualcosa io, che una volta uno ci ha provato eh, a fare il maestrino con lei, le ha pure mandato una definizione del dizionario via mail e quella volta li' io c'ho avuto paura per lui, non avrei proprio voluto essere al suo posto, proprio no.
E quindi dico, che le vuoi dire ad una cosi', al massimo e' lei che ti deve spiegare le cose, che di cose ne ha fatte tante pero' non si e' mai stancata di cercare, che quando vedi gente cosi' dici ah, allora posso farlo anch'io, posso stare anch'io in giro a cercare che se lo fa una cosi', se una come lei non si siede e non si accontenta, mica lo posso fare io. Che il problema poi e' che a lei ogni tanto viene il cattivo umore un po' come a me, e ci sediamo e non riusciamo piu' ad alzarci, ci sembra troppo faticoso fare tutto e meno male che a volte ci telefonavamo e un po' di questa indecisione ce la raccontavamo a vicenda e stavamo un'ora a decidere dove minchia andare a cena, che io c'ho il vino ma tu c'hai i funghi e allora facciamo il riso col vino e i funghi che non se ne parla piu'.
E poi quando proprio non ce la facevamo piu' ce ne andavamo, io montavo le pelli sugli sci ed iniziavo ad andar su e lei invece se ne andava in barca ad inseguire un orizzonte piatto che le dava tranquillita' perche' non ci vedeva i saliscendi, che in questa cosa eravamo diversi perche' a me piace andare su e giu' mentre a lei solo avanti, ma in fondo l'importante e' fare della strada perche' se si sta fermi e' finita.
Ecco, se proprio dovessi dirle qualcosa le direi questo, sta cosa banale che uno dice, dovevi scrivere mezz'ora per arrivarci, eh, ci avrebbe ragione ma a volte secondo me non fermarsi e' difficile, soprattutto e' difficile capire se si sta andando avanti con le proprie gambe o solo per inerzia, che per me e per quella amica li' l'inerzia e' la cosa piu' pericolosa, che ci intristiamo e ci lasciamo trasportare e allora e' proprio finita, ma io penso che alla fine a lei non succede perche' lei e' una che mi si intristisce con facilita', magari mi si piange anche un po' addosso pero' poi e' una che tira sempre fuori il sorriso tra le lacrime.

venerdì 6 giugno 2008

come potete vedere, sto malissimo

my condition si deduce anche dalla condition delle persone che hanno a che fare con me, nonché dal tipo di mezzi che usano per rivolgersi al sottoscritto:

http://www.acapela-group.com/Greetings/1-b9068d52bfd50

come potete vedere, sto malissimo.

giovedì 5 giugno 2008

sottosopra

C'e' un amico che ha scritto una cosa su un suo amico sottosopra che secondo me sono proprio io quello li'. Nel senso, non e' che mi ci ritrovo e dico potrei essere io. Son proprio io. Che bello ne? Ecco, allora in questi casi mi viene da pensare che essere amici alla fine si riduce semplicemente a questo, dire una cosa, anche solo una in 26 anni ma al momento giusto ed a quel punto che importa se quando c'era da uscire non uscivi o se non eri simpatico quando si era in gruppo o se ti sentivi spesso perche' ad essere superficiale, a far finta di non capire quello che ti succedeva attorno ci provavi ma proprio non ci riuscivi e non eri bravo come me nell'addormentare il fastidio inebetendoti delle tue stesse risate isteriche.
Che poi non e' che di cose come questa ne ha detta solo una, e' che forse questo e' un momento piu' giusto degli altri perche' per provare a trovare una direzione mi sono dovuto mettere a testa in giu', come se in tutti gli altri versi ci avessi gia' provato e non mi rimanesse altro davvero che capovolgermi come un saltimbanco.
Io mi ci mettevo a testa in giu' da piccolo, mi sdraiavo e tiravo su i piedi e facevo finta che il soffitto fosse il pavimento e che ne so, mi sentivo piu' libero, come se stessi camminando su un pavimento solo mio, e mi viene in mente che magari sono venuto qui con la stessa idea, magari sto cercando un pavimento solo mio dove camminare.
Che poi a me a parlare di pavimenti mi viene in mente lei, che la canzone che ascoltavamo diceva cosi', e noi sto pavimento lo stiamo seguendo l'uno sottosopra all'altra, ma io credo che 'sto pavimento sia proprio lo stesso ed infatti quel giorno a casa mia anche lei mi diceva che si metteva a testa in giu' da piccola per camminare sul soffitto e a me era venuto da pensare che forse lo faceva ancora perche' lei e' una che fa le cose da bambina ogni tanto, ma neanche tanto quello, e' che fa le cose normali con un modo da bambina, tipo quando ride se sente la mia voce da sottosopra ed io allora non capisco piu' niente, come dice un altro mio amico vado in barca.
E' che io certe cose mi sa che dovevo vederle da sottosopra per capirle, a testa in giu' perche' se stavo girato normale mi sembravano come le altre ed invece sono diverse e lo vedi solo se le guardi da un altro angolo, tipo un amico che dice cose diverse dagli altri o una ragazza che ride in modo diverso dalle altre, diversi, sono proprio diversi quei due li', che quasi quasi tra un po' mi rigiro dal verso giusto e li vado a salutare guarda.
Magari con lui torno su a quel parcheggio dove stavamo appoggiati alla portiera, che poi e' il parcheggio dove ci siam fermati io e lei quella sera della festa che ha iniziato tutto, e parliamo un po' di com'era il mondo da sottosopra, e poi torno con lei nel primo posto dove siamo andati insieme dopo la sera del parcheggio e che, guarda un po', si chiama sottosopra, ed allora io ridendo le diro' che non c'era bisogno di venire qui in zelandia per essere sottosopra e che alla fine da qualsiasi parte io sia girato, l'importante e' che sia la stessa parte sua, e poi le parlero' un po' del mio amico, che un giorno aveva scritto un post sul suo amico sottosopra.

martedì 3 giugno 2008

Com'è bello fallire dall'altra parte del mondo

La mail di un'amica che, sentendosi per un giorno talmente fallita da decidere di rivolgersi a me, ha fatto si' che realizzassi quanto è bello fallire dall'altra parte del mondo.

La frase che ha scatenato la mia fantasia è stata: "E lo scrivo a lei perché so che può capire. Oggi è uno di quei giorni in cui vorrei trasferirmi dall'altro capo del mondo (hehe), con l'amara consapevolezza che fallirei anche lì".

"lei ", scortesemente scritto minuscolo, sarei io. E' che noi ci diamo del lei tra amici.

Non so se la cosa che mi ha eccitato di più sia stata il fatto che, in quel momento, sentendosi una merda, abbia subito pensato a me, sicura che io potessi capire cosa si prova, oppure l'idea di raggiungere l'altro capo del mondo per poter fallire anche lì.

Beh, fatto sta che ho realizzato in quell'istante di avere un'altra cosa di cui potermi vantare.

Quanti di voi possono sfoggiare fallimenti ai due estremi del globo?


Bene, per festeggiare questo momento metterò su Mellon Collie and the infinite sadness e mi avvilupperò nel mio letto foderato di nero attendendo che un sonno mortifero mi colga.

Buona Zelanda a tutti.

martedì 27 maggio 2008

neon zelandese

Posto strano, questa Nuova Zelandia.

Stanotte l'ho passata seduto sul davanzale con la canna da pesca fuori dalla finestra.

Non sono riuscito a prendere nemmeno un maori.

Forse devo provare a traino.

sabato 24 maggio 2008

Allday yearning, ovvero dell'onnipotenza del desiderio

Mi sento come uno di quei bambini capricciosi che non si rassegnano a non ottenere quello che vogliono.

L'evidenza del fatto che non posso avere la cosa che voglio non influisce minimamente sulla mia pretesa di averla.

Continuo a pensarci, ad insistere, e siccome non c'è nessuno qui con me col quale posso insistere, insisto con me stesso.

Non riesco a farmene una ragione.

In questi casi si dice sempre che è una questione di tempo, che poi passa.

Beh, a me non passa.

Non mi passa per niente, anzi, aumenta.

Aumenta, cazzo.

venerdì 16 maggio 2008

L'inutile post del viaggiatore

Scrivo dalla sala d’aspetto dell’aeroporto di Sydney, l’ultimo aereo, quello che mi porterà (almeno nelle intenzioni del pilota) ad auckland, parte tra meno di un’ora.

Fondamentalmente ho scritto questo post per dire questo.
Ho sempre pensato che scrivere dagli areoporti alcuni frettolosi appunti di viaggio fosse una cosa figa. Molto viaggio-avventura.

Quindi l’ho fatto anch’io.

Per il resto, non ho un cazzo da dire.

E’ anche vero che ogni persona normale in procinto di partire per un viaggio come questo scriverebbe quantomeno un post di commiato sul suo blog, o comunque qualcosa che segni il passaggio.

Io non l’ho fatto, tanto per cambiare.

Così ho pensato di scriverne uno durante il passaggio.

E faccio ancora di più, mi riprometto blandamente (non bisogna mai pretendere troppo) di essere piuttosto sollecito nel documentare l’inizio e l’evoluzione di questa esperienza agli antipodi.
A proposito di antipodi, adesso che ci penso non sono ancora andato al cesso a vedere l’acqua dello sciacquone che gira al contrario.

Vado subito.

mercoledì 7 maggio 2008

Dai, ditemi dove devo sorridere...

Oggi ricevo un telegramma

dal tono più allarmato di una strillettera di harry potter.

Viene dalla cartasì.

Mi dice di chiamare il servizio sicurezza carte.

Il termine urgente è presente in 4 parole su 5.

Vabbuò.

Chiamo.

Mi dicono che devono bloccarmi la carta perché il mio n di carta è corrotto.

Corrotto.

Come i nostri politici.


Adesso io dico

non ci credo più.

Non credo più al caso.

Non può essere un caso che queste cose mi capitino sempre in questi momenti.


Dai, ditemi dov'è

che devo sorridere.

Lì?

domenica 4 maggio 2008

Stasera

Balaustrata di vodka redbull
Per appoggiare stasera
La mia malinconia

lunedì 21 aprile 2008

A chi dice che sono incostante

Io sono un mostro di costanza.

Un raro esempio di perseveranza.

Basti osservare la micidiale continuità con cui nella mia vita non ho avuto voglia di fare nulla.

E tuttavia le mie giornate sono spesso dense di impegni e brulicanti di attività.

Oggi, per esempio, ho:

- cercato su internet le caratteristiche dei profilattici durex pianificazione familiare (PIANIFICAZIONE FAMILIARE?!? Ma che cazzo vuol dire?!? Si tratta forse di una confezione di gondoni bucati? Una confezione di gondoni vuota?), non trovandole, e di conseguenza...

- elaborato svariate teorie sul significato del nome pianificazione familiare per una scatola di gondoni.

- cercato su internet il participio passato del verbo prudere, trovando conferma ai miei sospetti sul fatto che non esiste (il verbo prudere è infatti difettivo, il che mi ha suggerito inquietanti analogie con il sottoscritto...).

- cercato su internet la differenza tra fiorista e fioraio, non trovandola, e di conseguenza non elaborando nessuna teoria a proposito, avendo realizzato che non me ne frega un cazzo.

- realizzato, per associazione di idee, che alla fine non me ne frega un cazzo praticamente di nulla (escluse pochissime cose)

- aggiornato il mio elenco quotidiano di cose da fare e non fatte e di incombenze in scadenza e destinate a scadere.

- vagato ulteriormente su internet con questa sensazione di profonda inquietudine appollaiata sulla spalla, fino a che mi sono imbattuto nell'ultimo post del blog di chinaski, intitolato avere lo sbocco per il futuro.

Ecco.

Ecco il naturale, scontato, inevitabile epilogo di una mia giornata tipo.

Vado a vomitare.




mercoledì 16 aprile 2008

Io, te ed il tempo

Camminiamo.

(anche ammesso che riesca a non aver paura di essere felice, non posso non averne di qualcuno che ne ha a sua volta)

Le cose si muovono intorno a noi ma io non me ne accorgo.

(in fondo, potremmo essere ovunque e niente cambierebbe)

Ridendo, ti dico cose di una tristezza inaudita.

(ognuno di noi è distratto da un pensiero che scavalca il momento presente)

Tu invece piangi. Ed io non sono sorpreso.

(la capacita' di stupirsi presuppone il credere in qualcosa)

Una volta a casa, non posso fare altro che cercarti.

(il contatto fisico mi rammenta la distanza)

Il giorno dopo camminiamo ancora nel vento.

(gli occhi stanchi ma non stanchi di cercarsi)

L'aria è limpida, la luce è serena su quella piccola piazza in cima alla collina.

(da quel punto e' così facile guardare altrove)

Sorrido. Sorridi. Ti faccio un cenno e ci avviamo.

(anche se entrambi fingiamo di non accorgerci di lui, il nostro compagno di viaggio è sempre con noi)

Io, te ed il tempo.

martedì 15 aprile 2008

venerdì 11 aprile 2008

95 Ashfield Street, Tortona, New Zealand

In quanto primo post scritto interamente dall'estero, il seguente testo sara' privo di accenti, causa manifesta inadeguatezza delle tastiere inglesi.



La mia casa occupa tre piani di una palazzina di mattoni rossi, al numero 95 di Ashfield Street, nel quartiere di Whitechapel a Tortona, insignificante cittadina dell'Isola Nord della Nuova Zelanda.

Whitechapel e' nota ai piu' per essere il quartiere di Jack the Ripper, noto qui a Tortona come Jack lo Squartatore.

Infatti, non troppo distante da casa mia, c'e' questa Montague Street che se non sbaglio era proprio la via dove il vecchio Jack usava bazzicare.

Una volta poi ero in giro con Monica da queste parti, ma prima che ci venissi ad abitare, e lei mi ha portato in un pub dall'apparenza oscura, con le pareti piastrellate e grossi divani avvolti nella penombra. Mi ha detto che era il pub di Jack lo Squartatore.

Poi quella sera abbiamo limonato.

Ma piu' avanti nella serata.



Comunque, insomma, questa nuova sistemazione mi sta creando problemi di ambientamento.

Alla fine non e' facile abitare in tre posti contemporaneamente.

Specialmente se la mia presenza non ha senso in nessuno dei tre.

Perche' se tale presenza fosse giustificata da una qualche utilita', se avesse un effetto tangibile e misurabile sul mondo esterno, a quel punto avrebbe un senso.

Invece io abito in 'sto posto, a Whitechapel, Tortona 15057, New Zealand ma potrei abitare da qualsiasi altra parte che sarebbe lo stesso.

Cosi' mi trovo a chiedermi che senso hanno i padroni di casa musulmani che mi fanno usare una pentola diversa per cuocere i tortelli al prosciutto altrimenti se uso la loro vanno all'inferno (ma io poi li ho scolati nel loro scolapasta hahahaha), o le serate passate a calpestare asfalto a caso in umidi sobborghi in attesa che il tempo passasse ed i miei pensieri lo seguissero, o le facce stantie degli indiani nei minimarket (non esiste un minimarket senza indiano. Un indiano senza minimarket forse si), bidimensionali come ritagli di giornale sotto quella luce al neon sempre uguale come la loro espressione.

Cosi' mi chiedo cosa ci sono venuto a fare qui in Nuova Zelanda, che neanche mi pagano per lavorare, ma soprattutto visto che sono arrivato gia' col desiderio di tornare.

Non si va in un posto come la Nuova Zelanda pensando gia' al ritorno. E' un controsenso. Uno dei miei.
Come tutti quegli aerei che ho preso desiderando di perderli. Ma pensando che se li avessi persi avrei desiderato di averli presi.
Come tutte le volte in cui ho maledetto casa mia per poi sentirne la mancanza appena uscivo sul pianerottolo.

Come abitare al 95 di Ashfield Street, Tortona, New Zealand

giovedì 10 aprile 2008

martedì 1 aprile 2008

La fine del mondo.

Riporto il seguente commento rilasciato da tale seipuntotrentasette nell'ultimo post.


Sono un pochino emozionato nel dare a tutti i lettori di questo weblog un'informazione.

Magari lo sapete già, cari piccoli amici di italia uno, ma a maggio finisce tutto.

Tutto.

Quindi fate quel che dovete fare.

http://it.wikipedia.org/wiki/Large_Hadron_Collider#RischiOrdigno-fine-di-mondo!

(Ndr: cazzo, ma allora vedi che sto Angeli e Demoni di Dan Brown era veramente un gran libro.
Ed io che pensavo fosse una veva mevda).

Gli schieramenti sembran essere manicheamente divisi in due fazioni: chi pensa che succeda e chi no.
Vi è, a onor del vero, un'esigua minoranza, corrispondente al sottoscritto, che crede che succeda nel modo peggiore. (ventata di chiaro ottimismo cubano).

Nel frattempo pensiamo a chi votare.

Ah dimenticavo, "Non è un paese per vecchi" fa schifo (Sempre ndr: cazzo, ma allora vedi che sto film faceva veramente cagare? Ed io che mi sentivo in dovere di dire che è una figata).

Enjoy.


Beh, per quanto mi riguarda fa poca differenza.

Per me a maggio finisce tutto comunque.

venerdì 28 marzo 2008

Non sono solo

Finalmente sono riuscito ad avere sul mio blog un contributo esterno. L'autore, indefesso sostenitore del low-profile, specialmente quando si tratta di sé stesso, rimarrà anonimamente anonimo.


Passeggiavo su e giù per la banchina, Bologna, stazione buja, la gente assiepata.

Nervosissimo per un posto di lavoro solo ipotizzato ma sicuramente al di sopra delle mie capacità, ho fumato una sigaretta (avevo smesso tempo fa: non ne avevo più toccata una, da allora).

C'è un cestino apposto al muro con un cartello verticale, a cerchi concentrici, a mò di bersaglio.

In tono di ironica sfida la scritta "PROVA LA TUA MIRA"

Che trovata, ho pensato.

Sicuro, ho fatto per spengere la sigaretta contro di questo.

La sono andata a posizionare fra il terzo e il quarto.

Pensa te, ho sbagliato persino lì.

giovedì 27 marzo 2008

Un post più noioso del solito

Dunque.

Un amico, con immotivata e miope fiducia, sia nella mia presunta capacità di scrivere cose che interessino a qualcuno, sia nella mia mai dimostrata capacità di mantenere qualsivoglia impegno, mi ha chiesto di partecipare ad un forum letterario e non, con recensioni su libri, resoconti e contributi vari.

Sebbene la tentazione di fallire in principio rinunciando addirittura a cominciare sia stata forte, ho poi optato per un tipo di fallimento più articolato e certamente più soddisfacente. Ho pensato di accingermi al compito, sfornando prodotti altamente inadatti e completamente insoddisfacenti, in modo che il mio fallimento si possa palesare a tutti.

Ora, nell'attesa, che prevedo lunga ed improduttiva, di inviargli effettivamente qualcosa, butterò giù un paio di pensieri su un libro che ho letto qualche giorno fa.
Tanto per fare una prova.

Il libro in questione si intitola Occhi sulla graticola, per l'appunto.
L'autore si chiama Tiziano Scarpa.
Il libro è scomodo.
Nel senso, se non fosse proprio corto, la risoluzione del lettore a terminarlo (parlando del lettore mi riferisco a me, che di risoluzione, nonché risolutezza, ne ho notoriamente poca) entrerebbe seriamente in crisi.
Senonché è proprio corto, e secondo me il motivo di interesse sta proprio in quello, al di là del fatto che se fosse stato più lungo l'avrei mollato lì.
Di fatto, leggendo il libro ci si accorge che non sta succedendo quasi niente. Ed allora uno (uno sarei sempre io) comincia a chiedersi, ma scusa, se dietro alla copertina c'è la storia, come fanno 'ste cose a succedere che mancano 20 pagine e non è ancora succeso un cacchio?
Cioè, uno dice, capisco che in Alla ricerca del tempo perduto o nell' Ulisse, ci si possa permettere di perdere un po' di tempo, tanto ci sono migliaia di pagine, se rimani un po' indiero poi al massimo recuperi alla fine, tagli un po' di stronzate e ti metti a raccontare sul serio.

E invece lì le pagine scorrono e non si capisce cosa sta succedendo. Si susseguono brani di diari, lettere, elenchi, insomma, tutto quello che non è un racconto inteso come resoconto di una successione di eventi.
Roba anche strana, c'è scritta.

Ma alla fine capisci.
Capisci quando ti rendi conto che il racconto degli avvenimenti si risolve in poche righe, ma non è compresso, tagliato, ignorato, semplicemente è sottointeso.
O meglio, sgorga naturalmente da tutto il materiale statico che riempie il libro e che diventa dinamico nel momento in cui poche azioni, raccontate in fretta e senza cura, gli danno un senso ed una collocazione. Una valenza narrativa e non più descrittiva o informativa.

Non è che sia una maniera comoda per arrivare alla conclusione di una storia, anzi. Oltretutto il libro tenta più volte di respingerti sottoponendoti a stranezze di vario genere, col chiaro intento di indisporti, ma alla fine mai troppo, riuscendo anzi spesso ad incuriosirti. Anche in virtù del fatto che tu vedi che le pagine alla fine sono sempre poche, e questo in fondo ti solleva da una responsabilità.

Hahahahahahahah, non si è capito un cazzo!

Mamma mia, la mia nuova carriera di critico letterario sarà un fallimento...

Ecco qua la mia risposta a tutti voi che mi chiedete di collaborare con voi in vari modi. Con calma, ragazzi, uno alla volta, vedrete che accontenterò tutti. Pasticcio dopo pasticcio, un malinteso dopo l'altro, servirò ad ognuno di voi un bel fallimento appena sfornato che allieti le vostre giornate ridendo di me, povero fallito senza speranza.

martedì 25 marzo 2008

La mia anima è un anime

Vorrei che la mia vita
fosse un cartone animato.
La cosa che desidero di più
È guardarmi vivere.


A. guardava i cartoni.
Tanti, tantissimi, tutti quelli che incontrava nel suo quotidiano vagabondare per gli spazi tristi e dismessi delle frequenze televisive.
Gli piacevano quasi solo quelli giapponesi, quasi solo quelli vecchi, magari vecchi di vent’anni. Quei cartoni che hanno una memoria, che hanno l’aria languida e malinconica di qualcosa che appartiene ad un mondo che non c’è più.
Erano quelli che cercava, quei cartoni di un altro tempo che per sbaglio rimanevano impigliati nel palinsesto di qualche emittente locale.
A. pensava che si sentissero soli, abbandonati, ed anche un po’ patetici nel loro rievocare mondi scomparsi e vicende sommerse dal tempo.
Pensava che fossero cartoni tristi.
Era questo che glieli faceva piacere così tanto, che glieli faceva amare tanto profondamente.
Gli dispiaceva per loro.
Anche lui, come loro, viveva di ricordi. La sua vita era un ricordo. Era nostalgia. Di tutto. O meglio, di niente.
Del tempo in sé.




lunedì 10 marzo 2008

Il giorno più felice

La felicità è una cosa di cui ho paura.

Sarà la paura dell'ignoto, di questa cosa che non sai bene cos'è ma ne vedi gli effetti sulle persone.
Sembrano stupidi.

Sarà che per me la felicità è sempre stata un motivo per essere triste, pensando che, in fondo, quando finisce è peggio di prima.

Sarà perché, appunto per questo, non ho mai provato la felicità completa. I miei momenti felici sono sempre stati venati da una crepa di malinconia.

Eppure.

Eppure io quella sera sono stato felice.

Felice e basta.

Certo, adesso che l'ho provata ne ho ancora più paura. Ne sono terrorizzato.

Ne valeva la pena, viene da chiedersi?

La risposta arriva con sconcertante immediatezza.

Tutta la vita.

sabato 8 marzo 2008

Exit

Mi sveglio alle 8.

Penso con irritazione che mi sono steso solo 4 ore fa.

Mi sembra di avere uno stagno di vodka e redbull nella scatola cranica.
La testa mi fa male, le cose fanno un rumore sordo, in bocca ho un sapore di urina di iena, credo.
La gola mi raschia un po' per le troppe risate isteriche e forzate.

Vado in bagno, piscio un po' di toro rosso, scoreggio con svogliatezza e tornando in camera intravedo un volto da vampiro tisico allo specchio.

Ieri sera mi appare come vissuta da un altro.

Poi, lo vedo.
Sulla mano, bello netto e centrato.
No, ero proprio io. Sono uno di loro. Il timbro me lo ricorda sempre.

Ancora una sera passata a cercare qualcosa che non ho trovato.
Ancora una mattina in cui mi imbatto con fastidio nel segno inequivocabile del mio fallimento.

Exit.

venerdì 7 marzo 2008

Ho il vento dentro

L'altro giorno stavo in piedi sulla cima di una collina sopra casa mia.

Il vento mi soffiava addosso ed il sole basso mi feriva gli occhi.

Mi sentivo come quando, dopo aver trattenuto il respiro fino al limite, prendi finalmente una boccata d'aria e i polmoni si rilassano ed il dolore passa per un attimo e la sensazione dell'aria fresca dentro di te ti ricorda che sei vivo.

Sarà stato quel vento che soffiava senza stanchezza ad entrarmi dentro.

O forse sarà che in quel momento ho capito che ho il vento che soffia, sempre, dentro di me.

giovedì 6 marzo 2008

Morning yearning

Stanchi occhi insonni
cercano nel buio
qualcosa che non sia il tuo viso.

lunedì 3 marzo 2008

De' pilu e del(le) pene, ovvero In pilu veritas

"Ci sono diversi uomini che sono diventati geni per via di una ragazza, parecchi sono diventati eroi per via di una ragazza, parecchi sono diventati poeti per via di una ragazza, diversi sono diventati santi per via di una ragazza...
Ma non c'è nessuno che sia diventato genio, eroe, poeta o santo per via della ragazza che ha ottenuto." [...]
"Il maggior favore che una donna può fare al proprio uomo è di essergli infedele il più presto possibile. Ciò si paga, è vero, col più profondo dolore, ma questa è anche la più grande beatitudine".
S.Kierkegaard,
In vino veritas

giovedì 28 febbraio 2008

Il bianco: vagabondaggio

Mi ricordo una raccolta di Herman Hesse, intitolata Vagabondaggio. Ricordo anche che, tanti anni fa, la comprai solo per il titolo.
E dentro vi trovai quello che mi attendevo. Pensieri, immagini. Limpidi e spezzettati come solo gli appunti di viaggio possono essere.
Vagabondaggio e’ un termine che mi ha sempre attirato più di viaggio, perché ha in sé qualcosa di indefinito, di infinito, dove invece viaggio può (anche se non necessariamente) presupporre una fine, un ritorno.
Ma soprattutto una destinazione.
Il vagabondaggio non presuppone una destinazione, o meglio, ne presuppone infinite, una per ogni momento.
La destinazione del vagabondaggio è se stessi.


Mi muovo nella vita con passo inquieto per cercare di raggiungere il luogo dove è nascosto me stesso.

Lo cerco per potergli raccontare le cose meravigliose che ho visto durante il mio vagabondaggio.

Il nero: non saper rimanere, non saper non tornare

Ho impostato la mia vita sulla fuga.

Il non riuscire a gestire una qualsiasi situazione nella sua interezza, l'incapacità di dare continuità, coerenza, stabilità, finalità alle mie azioni, mi ha portato a nascondermi dietro (o dentro) un reiterato iterare (meravigliosa cacofonia), a disperdermi in continui spostamenti che apparentemente giusificassero la mia incostanza, la mia inconsistenza, la mia incapacità di esserci interamente, compiutamente e sensatamente (e spessatamente, cazzu cazzu iu iu).

Come se il partire desse una finalità alla mia inconcludenza. Un senso alla mia incompletezza.

Come se il non esserci fisicamente giustificasse il fatto di non esserci anche quando ci sono.

Mi costringo al movimento perché so che l'inerzia mi uccide. Ma adesso ho capito che anche il mio movimento è inerziale.
Non è un moto finalizzato, è un moto ridondante che non mi porta da nessuna parte.

Muoversi per non stare fermi. Immobilità nel movimento. O forse solo apparenza di movimento, se quando torno le cose sono rimaste come prima.

Perché il punto è che non solo non riesco a non partire.

Il punto è che non riesco a non tornare.

Mi sforzo di considerare la mia continua ricerca del movimento come qualcosa di costruttivo.
Mi ritrovo spesso a contemplare con sufficienza chi, tra quelli che conosco, non riesce a muoversi in nessuna direzione e resta ancorato con testarda determinazione al suo comodo cantuccio di realtà casalinga: gente che la vita la vive agli arresti domiciliari.

Ma almeno sono onesti con sé stessi.

Io invece, parto, scappo, mi sottraggo. Ma poi torno. E quando torno, cosa mi distingue da loro?
Un'assenza. Come se fossi rimasto a casa malato.

Si può camminare diretti verso qualcosa, o si può camminare solo per camminare.
Io non so dove sono diretto.

Forse perché ho sempre camminato con lo sguardo rivolto dietro di me.

martedì 26 febbraio 2008

Amore ed accanimento terapeutico*

Stavo pensando che è incredibile e scandaloso che, in quasi una settimana di blog, non si sia ancora parlato di pilu.

I motivi possono essere molteplici, il primo che mi viene in mente è che ultimamente mi sono un po' distaccato da una visione meccanicistico-shopenaueriana del pilu come mero incentivo all'eiaculazione (visione che deriva da un ben più shopenaueriano pessimismo universale riguardo al pilu, di cui sicuramente parlerò nei prossimi post), per esplorarne gli aspetti più squisitamente relazionali ed antropilogici (non è un refuso).

A proposito di questo, oggi mi sento di condividere una riflessione, che scaturisce da una situazione che sto vivendo.

Si dà il caso che in questi giorni sia stato colto da una infezione alle tonsille d'altri tempi, quando non c'erano ancora gli antibiotici e l'aspettattiva di vita era 35 anni.

Si dà anche il caso che nell'ultima settimana mi sia fuso il cervello e che questa sera la mia agenda veda un appuntamento piuttosto irrinunciabile, a cui appunto mi sono imposto di non mancare no matter what.

Questa decisione si è tradotta, nello specifico, in:

- n. 2 bustine di Nimesulid, antiinfiammatorio, principio attivo nimesulide

- n. 4 pastiglie di Tachipirina, principio attivo paracetamolo

- n. 3 pastiglie di Clavulin, antibiotico, principio attivo amoxicillina + acido clavulanico


- n. imprecisato di pastiglie di Neo Formitrol, cetilpiridinio cloruro

- n. imprecisato di flaconcini di Dr Marcus, soluzione fisiologica nasale

- n. 20 gocce di En per dormire

e, dulcis in fundo, i mitici fumi col pentolone di acqua bollente e bicarbonato.

E che c'è di strano, si dirà, beh niente se non che tutto ciò è stato da me assunto non in 2 settimane ma in un giorno e mezzo.

A questo punto, forse perché troppo imbottito di principi attivi per formulare un pensiero logico, ho constatato l'evidente collegamento tra l'accanimento terapeutico e l'innamoramento.

Prima similitudine, enrambi si originano da una condizione di malessere.

Seconda similitudine, entrambi sono praticati da persone con evidenti e gravi scompensi psicologici.

Terza similitudine, entrambi danno iniziali indizi di sollievo, ma poi conducono ad una situazione peggiore di quella di partenza (mortale in alcuni casi).

Quarta similitudine, la più importante secondo me, entrambi vengono perseguiti con isterica perseveranza, il malato è in una specie di trance agonistica che lo spinge ad un'assunzione continua ed ossessiva (rispettivamente di medicine o del malcapitato oggetto d'amore) e lo lascia a martoriarsi nella spasmodica attesa di risultati (immediati ed irrealistici).

Direi quindi che, in definitiva, il fenomeno di accanimento terapeutico di cui sono rimasto vittima si traduce, nello specifico in:

- n.1 esemplare di Laura, principio attivo pilu.

*N.B.: il termine accanimento terapeutico non è qui usato nel suo significato originale, ovvero di prolungamento artificiale e forzato della vita umana, ma semplicemente nell'accezione che mi andava oggi, ovvero di uno che si accanisce a curarsi. A chi obietta che non si possono utilizzare i termini a sproposito, io ribatto serenamente che me ne sciacquo il cazzo.

domenica 24 febbraio 2008

Dialogo della Natura e di un Porchettaro

Natura: "Un panino con porchetta, salciccia, wurstel, crauti, peperoni, tabasco, senape, ketchup. Ah, ed anche La destinazione di successo di J.Ejarque. Sì, anche lì aggiungi un po' di senape"

Porchettaro: "Spero si renda conto che mi si è cacciato in un paradosso. Come suo solito, mi è in quel cul de sac che le piace tanto (il cul dico, se proprio quello del buon bag sono affari suoi...) ."
"Lei vuole raccogliere in questo blog i suoi fallimenti, dimostrare di essere un fallito. Bene, per dimostrare con questo blog di essere un fallito,dovrebbe non riuscirci: quindi dimostrare di essere un fallito sarà prova schiacciante del Suo non esserlo. Inoltre, se invece non riuscirà a dimosrarlo, fallendo il target del blog, sarà affermazione intrinseca del fatto che Lei non è un fallito".
"Si vergogni! neanche un fallito riesce ad essere. Che fallito".


Natura: "Caro, amatissimo, Astutoni".
"Io la vedo esattamente nella maniera opposta.
Il mio obiettivo è proprio quello di succedere nel fallire, per cui, comunque vada, avrò fallito".
"Se succederò nel dimostrare a tutti che sono un fallito, godrò di questo status per l'eternita e questo blog sarà per Branding Walsh quello che "I Sepolcri" è stato per Foscolo".
"Il mio testamento spiritual-fallimentare insomma".
"Se invece, mio caro Pindemoni, fallirò nel dimostrare di essere un fallito, lo diverrò grazie al fatto stesso di non essere riuscito a dimostrarlo, collezionando di fatto il mio primo, vero fallimento".
"Come vede, mi sono volutamente infilato in un vicolo ciueco che mi porterà, inevitabilmente ed incessantemente, attraverso il dolore e la sofferenza all’agognato fallimento".

Porchettaro: "Le faccio un altro panino uguale a quello che le è caduto sulla camicia mentre parlava?"

Natura: "Non ho più soldi".

Art café

Nella giornata di sabato, ricevetti una missiva dall'esimio e chiarissimo Prof. Letteroni, docente di Letterature Comparate presso la Sapienza di Roma, sociologo, antropologo e tracotologo nonché critico d'arte, autore di numerosi trattati fra cui ricordiamo Fenomenologia della Tracotanza e Canederli alla baccinara: crosscultural approach to the coattity in the Mitteleuropean context -scritto a quattro mani (unte) con Wolfgang Sachs, sociologo del Wuppertal Institut- ma che è noto ai più per il suo saggio Richard Benson: manco il Tevere t'ha voluto.

Riporto qui di seguito il suo commento riguardo al componimento in versi da me pubblicato nell'ultimo post:

"La poesia è un po' grezza, ma molto potente. Mi sembra che 'fiotto puzzolente' strida un po'. Mi piacciono invece soprattutto gli ultimi tre versi, di un lirismo cupo che condivido a pieno."

Egregerrimo professore,

mi prostro innaniztutto ai Suoi piedi per l'onore di aver ricevuto la Sua inestimabile attenzione.
Ne sono indegnissimo ed arrossisco di vergogna.
Mi permetto, con inaudita tracotanza, di esprimere qui di seguito il mio risibile parere a proposito del Suissimo illuminatissimo commento.
Spero che questo mio imperdonabile peccato di hybris venga dalla Sua clemenza considerato come un comprensibil' ecciuesso di entusiasmo ed ardore giovanile.
Ebbene.
Definirei il primo verso maldestro.
E' chiaramente inadatto, tuttavia, proprio per questo, esprime efficaciuemente il disagio di qualcuno che non trova il modo giusto di esprimersi. Ho voluto quindi lasciarlo com'era.
Ovviamente la rozzezza non era intenzionale, ed infatti sono stato indeciso se inserire o meno la poesia/porcheria.

Mi sono deciso perché ho pensato che tale rozzezza esprimesse sia il disagio che mi porta a scrivere quei versi, sia il disagio di non riuscire a scriverli.

Doppio disagio, quindi.

Inserire quella poesia è stato il mio modo di calarmi le braghe, subito ad inizio blog.

Si vedono i brufoli sul culo?




giovedì 21 febbraio 2008

Voci per la poesia

Inauguriamo oggi il momento poetico di questo blog.
Questa rubrica è solo la prima di una lunga serie di appuntamenti periodici e più o meno regolari, un po' come quelli che hanno quasi tutte le ragazze (tranne qualcuna, ciao Giorgia).

Ho deciso di chiamarla "Voci per la poesia", come il concorso di poesia del liceo che ogni anno si svolge nella mia ridente cittadina, al quale la mamma ed il nonno avrebbero tanto desiderato che partecipassi in gioventù.

Bene, se la mamma ed il nonno leggessero ciò che segue, non smetterebbero di ringraziarmi per non aver mai voluto partecipare.

CATARSI

Contemplo stupito il fiotto puzzolente
che la mia bocca destina al mondo
con dolorosa rassegnazione,
desiderando che quei brandelli infami
siano le ultime tracce
della tristezza che ho dentro.


Grazie, grazie.
Da notare che questo gaio sonetto (non è un sonetto, lo so, ma suona professionale) fu da me composto proprio in età scolare, ai tempi delle prime, dolci piene del sabato sera.

alcune cifre

Ho calcolato che passo il 70% della mia vita con le mani nei capelli.

La parola da me più usata è "Nooooooooo!!!" (presente in circa il 75% delle mie frasi).

Mediamente dimentico l'80% delle cose che mi servono/mi interessano.

Statitsticamente, riesco a rimediare al 10% delle cagate che faccio.

Questi sono, al momento presente, i miei numeri.

un Signor fallito

Non ho mai preso in considerazione l'ipotesi di non fallire.

Fin da piccolo avevo ben chiaro il mio percorso. Magari non sapevo quali studi intraprendere (ed infatti non li ho poi proseguiti, fermandomi dopo il liceo ed iscrivedomi a Scienze della Rassegnazione), né che mestiere avrei voluto provare a fare.

Ma ero sicuro del risultato finale che avrei ottenuto.

Avrei fallito.

Il punto è che ero altrettanto determinato a non fallire in modo mediocre.

Volevo, e voglio tuttora, essere ricordato come un fallito di classe.

Il mio obiettivo è di collezionare dei veri e propri textbook failures (ho provato a rendere quest'espressione in italiano, ma ho fallito).

Insomma, fallire sì, ma con stile.

Questo blog vuole essere un bollettino, il più possibile aggiornato, sullo stato dei miei fallimenti.

Per questo mi è sembrato opportuno chiamarlo come il ritornello di quella canzone che dice I just dropped in to see what condition my condition was in.

Può darsi che non c'entri una fava. Ma tanto il blog è mio e decido tutto io.
Quindi se io dico che c'entra, c'entra.

cominciare fallendo

Avevo scritto il mio primo post. Sul fallimento.

Non sono riuscito a salvarlo. Mi si è cancellato.

giuro.