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giovedì 28 febbraio 2008

Il bianco: vagabondaggio

Mi ricordo una raccolta di Herman Hesse, intitolata Vagabondaggio. Ricordo anche che, tanti anni fa, la comprai solo per il titolo.
E dentro vi trovai quello che mi attendevo. Pensieri, immagini. Limpidi e spezzettati come solo gli appunti di viaggio possono essere.
Vagabondaggio e’ un termine che mi ha sempre attirato più di viaggio, perché ha in sé qualcosa di indefinito, di infinito, dove invece viaggio può (anche se non necessariamente) presupporre una fine, un ritorno.
Ma soprattutto una destinazione.
Il vagabondaggio non presuppone una destinazione, o meglio, ne presuppone infinite, una per ogni momento.
La destinazione del vagabondaggio è se stessi.


Mi muovo nella vita con passo inquieto per cercare di raggiungere il luogo dove è nascosto me stesso.

Lo cerco per potergli raccontare le cose meravigliose che ho visto durante il mio vagabondaggio.

Il nero: non saper rimanere, non saper non tornare

Ho impostato la mia vita sulla fuga.

Il non riuscire a gestire una qualsiasi situazione nella sua interezza, l'incapacità di dare continuità, coerenza, stabilità, finalità alle mie azioni, mi ha portato a nascondermi dietro (o dentro) un reiterato iterare (meravigliosa cacofonia), a disperdermi in continui spostamenti che apparentemente giusificassero la mia incostanza, la mia inconsistenza, la mia incapacità di esserci interamente, compiutamente e sensatamente (e spessatamente, cazzu cazzu iu iu).

Come se il partire desse una finalità alla mia inconcludenza. Un senso alla mia incompletezza.

Come se il non esserci fisicamente giustificasse il fatto di non esserci anche quando ci sono.

Mi costringo al movimento perché so che l'inerzia mi uccide. Ma adesso ho capito che anche il mio movimento è inerziale.
Non è un moto finalizzato, è un moto ridondante che non mi porta da nessuna parte.

Muoversi per non stare fermi. Immobilità nel movimento. O forse solo apparenza di movimento, se quando torno le cose sono rimaste come prima.

Perché il punto è che non solo non riesco a non partire.

Il punto è che non riesco a non tornare.

Mi sforzo di considerare la mia continua ricerca del movimento come qualcosa di costruttivo.
Mi ritrovo spesso a contemplare con sufficienza chi, tra quelli che conosco, non riesce a muoversi in nessuna direzione e resta ancorato con testarda determinazione al suo comodo cantuccio di realtà casalinga: gente che la vita la vive agli arresti domiciliari.

Ma almeno sono onesti con sé stessi.

Io invece, parto, scappo, mi sottraggo. Ma poi torno. E quando torno, cosa mi distingue da loro?
Un'assenza. Come se fossi rimasto a casa malato.

Si può camminare diretti verso qualcosa, o si può camminare solo per camminare.
Io non so dove sono diretto.

Forse perché ho sempre camminato con lo sguardo rivolto dietro di me.

martedì 26 febbraio 2008

Amore ed accanimento terapeutico*

Stavo pensando che è incredibile e scandaloso che, in quasi una settimana di blog, non si sia ancora parlato di pilu.

I motivi possono essere molteplici, il primo che mi viene in mente è che ultimamente mi sono un po' distaccato da una visione meccanicistico-shopenaueriana del pilu come mero incentivo all'eiaculazione (visione che deriva da un ben più shopenaueriano pessimismo universale riguardo al pilu, di cui sicuramente parlerò nei prossimi post), per esplorarne gli aspetti più squisitamente relazionali ed antropilogici (non è un refuso).

A proposito di questo, oggi mi sento di condividere una riflessione, che scaturisce da una situazione che sto vivendo.

Si dà il caso che in questi giorni sia stato colto da una infezione alle tonsille d'altri tempi, quando non c'erano ancora gli antibiotici e l'aspettattiva di vita era 35 anni.

Si dà anche il caso che nell'ultima settimana mi sia fuso il cervello e che questa sera la mia agenda veda un appuntamento piuttosto irrinunciabile, a cui appunto mi sono imposto di non mancare no matter what.

Questa decisione si è tradotta, nello specifico, in:

- n. 2 bustine di Nimesulid, antiinfiammatorio, principio attivo nimesulide

- n. 4 pastiglie di Tachipirina, principio attivo paracetamolo

- n. 3 pastiglie di Clavulin, antibiotico, principio attivo amoxicillina + acido clavulanico


- n. imprecisato di pastiglie di Neo Formitrol, cetilpiridinio cloruro

- n. imprecisato di flaconcini di Dr Marcus, soluzione fisiologica nasale

- n. 20 gocce di En per dormire

e, dulcis in fundo, i mitici fumi col pentolone di acqua bollente e bicarbonato.

E che c'è di strano, si dirà, beh niente se non che tutto ciò è stato da me assunto non in 2 settimane ma in un giorno e mezzo.

A questo punto, forse perché troppo imbottito di principi attivi per formulare un pensiero logico, ho constatato l'evidente collegamento tra l'accanimento terapeutico e l'innamoramento.

Prima similitudine, enrambi si originano da una condizione di malessere.

Seconda similitudine, entrambi sono praticati da persone con evidenti e gravi scompensi psicologici.

Terza similitudine, entrambi danno iniziali indizi di sollievo, ma poi conducono ad una situazione peggiore di quella di partenza (mortale in alcuni casi).

Quarta similitudine, la più importante secondo me, entrambi vengono perseguiti con isterica perseveranza, il malato è in una specie di trance agonistica che lo spinge ad un'assunzione continua ed ossessiva (rispettivamente di medicine o del malcapitato oggetto d'amore) e lo lascia a martoriarsi nella spasmodica attesa di risultati (immediati ed irrealistici).

Direi quindi che, in definitiva, il fenomeno di accanimento terapeutico di cui sono rimasto vittima si traduce, nello specifico in:

- n.1 esemplare di Laura, principio attivo pilu.

*N.B.: il termine accanimento terapeutico non è qui usato nel suo significato originale, ovvero di prolungamento artificiale e forzato della vita umana, ma semplicemente nell'accezione che mi andava oggi, ovvero di uno che si accanisce a curarsi. A chi obietta che non si possono utilizzare i termini a sproposito, io ribatto serenamente che me ne sciacquo il cazzo.

domenica 24 febbraio 2008

Dialogo della Natura e di un Porchettaro

Natura: "Un panino con porchetta, salciccia, wurstel, crauti, peperoni, tabasco, senape, ketchup. Ah, ed anche La destinazione di successo di J.Ejarque. Sì, anche lì aggiungi un po' di senape"

Porchettaro: "Spero si renda conto che mi si è cacciato in un paradosso. Come suo solito, mi è in quel cul de sac che le piace tanto (il cul dico, se proprio quello del buon bag sono affari suoi...) ."
"Lei vuole raccogliere in questo blog i suoi fallimenti, dimostrare di essere un fallito. Bene, per dimostrare con questo blog di essere un fallito,dovrebbe non riuscirci: quindi dimostrare di essere un fallito sarà prova schiacciante del Suo non esserlo. Inoltre, se invece non riuscirà a dimosrarlo, fallendo il target del blog, sarà affermazione intrinseca del fatto che Lei non è un fallito".
"Si vergogni! neanche un fallito riesce ad essere. Che fallito".


Natura: "Caro, amatissimo, Astutoni".
"Io la vedo esattamente nella maniera opposta.
Il mio obiettivo è proprio quello di succedere nel fallire, per cui, comunque vada, avrò fallito".
"Se succederò nel dimostrare a tutti che sono un fallito, godrò di questo status per l'eternita e questo blog sarà per Branding Walsh quello che "I Sepolcri" è stato per Foscolo".
"Il mio testamento spiritual-fallimentare insomma".
"Se invece, mio caro Pindemoni, fallirò nel dimostrare di essere un fallito, lo diverrò grazie al fatto stesso di non essere riuscito a dimostrarlo, collezionando di fatto il mio primo, vero fallimento".
"Come vede, mi sono volutamente infilato in un vicolo ciueco che mi porterà, inevitabilmente ed incessantemente, attraverso il dolore e la sofferenza all’agognato fallimento".

Porchettaro: "Le faccio un altro panino uguale a quello che le è caduto sulla camicia mentre parlava?"

Natura: "Non ho più soldi".

Art café

Nella giornata di sabato, ricevetti una missiva dall'esimio e chiarissimo Prof. Letteroni, docente di Letterature Comparate presso la Sapienza di Roma, sociologo, antropologo e tracotologo nonché critico d'arte, autore di numerosi trattati fra cui ricordiamo Fenomenologia della Tracotanza e Canederli alla baccinara: crosscultural approach to the coattity in the Mitteleuropean context -scritto a quattro mani (unte) con Wolfgang Sachs, sociologo del Wuppertal Institut- ma che è noto ai più per il suo saggio Richard Benson: manco il Tevere t'ha voluto.

Riporto qui di seguito il suo commento riguardo al componimento in versi da me pubblicato nell'ultimo post:

"La poesia è un po' grezza, ma molto potente. Mi sembra che 'fiotto puzzolente' strida un po'. Mi piacciono invece soprattutto gli ultimi tre versi, di un lirismo cupo che condivido a pieno."

Egregerrimo professore,

mi prostro innaniztutto ai Suoi piedi per l'onore di aver ricevuto la Sua inestimabile attenzione.
Ne sono indegnissimo ed arrossisco di vergogna.
Mi permetto, con inaudita tracotanza, di esprimere qui di seguito il mio risibile parere a proposito del Suissimo illuminatissimo commento.
Spero che questo mio imperdonabile peccato di hybris venga dalla Sua clemenza considerato come un comprensibil' ecciuesso di entusiasmo ed ardore giovanile.
Ebbene.
Definirei il primo verso maldestro.
E' chiaramente inadatto, tuttavia, proprio per questo, esprime efficaciuemente il disagio di qualcuno che non trova il modo giusto di esprimersi. Ho voluto quindi lasciarlo com'era.
Ovviamente la rozzezza non era intenzionale, ed infatti sono stato indeciso se inserire o meno la poesia/porcheria.

Mi sono deciso perché ho pensato che tale rozzezza esprimesse sia il disagio che mi porta a scrivere quei versi, sia il disagio di non riuscire a scriverli.

Doppio disagio, quindi.

Inserire quella poesia è stato il mio modo di calarmi le braghe, subito ad inizio blog.

Si vedono i brufoli sul culo?




giovedì 21 febbraio 2008

Voci per la poesia

Inauguriamo oggi il momento poetico di questo blog.
Questa rubrica è solo la prima di una lunga serie di appuntamenti periodici e più o meno regolari, un po' come quelli che hanno quasi tutte le ragazze (tranne qualcuna, ciao Giorgia).

Ho deciso di chiamarla "Voci per la poesia", come il concorso di poesia del liceo che ogni anno si svolge nella mia ridente cittadina, al quale la mamma ed il nonno avrebbero tanto desiderato che partecipassi in gioventù.

Bene, se la mamma ed il nonno leggessero ciò che segue, non smetterebbero di ringraziarmi per non aver mai voluto partecipare.

CATARSI

Contemplo stupito il fiotto puzzolente
che la mia bocca destina al mondo
con dolorosa rassegnazione,
desiderando che quei brandelli infami
siano le ultime tracce
della tristezza che ho dentro.


Grazie, grazie.
Da notare che questo gaio sonetto (non è un sonetto, lo so, ma suona professionale) fu da me composto proprio in età scolare, ai tempi delle prime, dolci piene del sabato sera.

alcune cifre

Ho calcolato che passo il 70% della mia vita con le mani nei capelli.

La parola da me più usata è "Nooooooooo!!!" (presente in circa il 75% delle mie frasi).

Mediamente dimentico l'80% delle cose che mi servono/mi interessano.

Statitsticamente, riesco a rimediare al 10% delle cagate che faccio.

Questi sono, al momento presente, i miei numeri.

un Signor fallito

Non ho mai preso in considerazione l'ipotesi di non fallire.

Fin da piccolo avevo ben chiaro il mio percorso. Magari non sapevo quali studi intraprendere (ed infatti non li ho poi proseguiti, fermandomi dopo il liceo ed iscrivedomi a Scienze della Rassegnazione), né che mestiere avrei voluto provare a fare.

Ma ero sicuro del risultato finale che avrei ottenuto.

Avrei fallito.

Il punto è che ero altrettanto determinato a non fallire in modo mediocre.

Volevo, e voglio tuttora, essere ricordato come un fallito di classe.

Il mio obiettivo è di collezionare dei veri e propri textbook failures (ho provato a rendere quest'espressione in italiano, ma ho fallito).

Insomma, fallire sì, ma con stile.

Questo blog vuole essere un bollettino, il più possibile aggiornato, sullo stato dei miei fallimenti.

Per questo mi è sembrato opportuno chiamarlo come il ritornello di quella canzone che dice I just dropped in to see what condition my condition was in.

Può darsi che non c'entri una fava. Ma tanto il blog è mio e decido tutto io.
Quindi se io dico che c'entra, c'entra.

cominciare fallendo

Avevo scritto il mio primo post. Sul fallimento.

Non sono riuscito a salvarlo. Mi si è cancellato.

giuro.