Ci ho pensato un po' e mi sono reso conto che non e' proprio vero che non ho voglia di fare niente.
Magari mi sono lasciato prendere la mano, spesso mi capita di esagerare solo per il gusto di scrivere frasi ad effetto.
Mi sono messo li' ed ho fatto una lista delle cose che in effetti ho voglia di fare.
Le ho divise per categorie (che mente organizzata).
1) cose che ho spesso voglia di fare:
- le seghe (molto spesso)
- guardare filmati con le donne nude (spesso collegata alla prima, ma non sempre)
- andare sul sito della gazzetta (non leggere gli articoli, attenzione)
- arricciare i bordi delle pagine con le dita (con altre parti del corpo in effetti sarebbe scomodo)
- le gare di scoregge (ne ho anche vinte eh)
- guardarmi allo specchio (anche se quello che vedo raramente mi soddisfa. A meno che non sia buio)
2) cose che non ho quasi mai voglia di fare ma che in genere faccio per necessita'/convenzione sociale:
- respirare (con parsimonia)
- mangiare/bere (categoria che comprende anche la conseguente e successiva espulsione di rifiuti liquidi/solidi. Anche se a volte cagare e' un piacere, ammettiamolo)
- tagliarmi le unghie (spesso sono tentato di tagliare solo quelle della mano sinistra, visto che per quelle della destra devo impugnare la forbice con l'altra mano ed e' piu' faticoso)
- lavarmi i denti (specialmente la sera quando ho sonno e' veramente dura, e comunque dovrei riconsiderarne la necessita' visto che non facendolo mi eviterei molte delle relazioni interpersonali che mi provocano inutile fatica, ad esempio il punto successivo)
- rispondere alle domande (magari se ripetute piu' di una volta)
- alzarmi dal letto (prima o poi)
- guardare la tv (nel senso che raramente quello che guardo mi interessa, ma una volta accesa e' troppo faticoso smettere di guardarla. soprattutto alzarsi dalla poltrona/divano)
- in generale, mantenere un'approssimativa igiene personale (diciamo che quando lo sporco diventa scomodo/fastidioso mi rassegno a rimuoverne la quantita' necessaria per rientrare appena sotto la soglia del fastidio)
- fingere di fare qualcosa quando qualcuno mi guarda (lo faccio raramente comunque. Di solito non fingo nemmeno)
poi ci sono le cose che proprio non ho voglia di fare e che semplicemente non faccio. vediamole.
1) tutto il resto.
venerdì 12 settembre 2008
mercoledì 10 settembre 2008
Non ne ho voglia.
Guardiamo in faccia la realta'.
Non ne ho voglia.
Non ne ho voglia e basta, non c'e' niente che io possa fare per cambiare questo dato di fatto.
Notoriamente, il miglior modo per assicurarsi che la voglia di fare qualcosa non ti venga mai, mai fino alla fine del tempo, e' cercare di farsi venire voglia di fare quella cosa.
La voglia non te la fai venire, ti viene o no. Non dipende da te.
Non e' colpa mia quindi.
Non e' colpa mia se non ho voglia di fare quello che devo fare oggi.
Non e' colpa mia se non avevo voglia di farlo ieri.
Sara' ancor meno colpa mia quando non avro' voglia di farlo domani.
Vi prego, credetemi. Non lo faccio apposta. Io vorrei avere voglia.
Ma la voglia di avere voglia non e' sufficiente a farmi venire voglia.
Io ci provo, lo giuro, ma piu' ci provo e peggio e'. E non potete dire che non ci ho provato. Cazzo, se uno va fino in nuova cazzo di zelanda per vedere se almeno la' c'e' qualcosa che ha voglia di fare, vuol dire che ci ha provato.
Niente da fare.
Non ho voglia di fare un cazzo.
L'unica cosa che vorrei adesso e' essere disteso su un divano e farmi carezzare la testa come un cane da passeggio.
Non ne ho voglia.
Non ne ho voglia e basta, non c'e' niente che io possa fare per cambiare questo dato di fatto.
Notoriamente, il miglior modo per assicurarsi che la voglia di fare qualcosa non ti venga mai, mai fino alla fine del tempo, e' cercare di farsi venire voglia di fare quella cosa.
La voglia non te la fai venire, ti viene o no. Non dipende da te.
Non e' colpa mia quindi.
Non e' colpa mia se non ho voglia di fare quello che devo fare oggi.
Non e' colpa mia se non avevo voglia di farlo ieri.
Sara' ancor meno colpa mia quando non avro' voglia di farlo domani.
Vi prego, credetemi. Non lo faccio apposta. Io vorrei avere voglia.
Ma la voglia di avere voglia non e' sufficiente a farmi venire voglia.
Io ci provo, lo giuro, ma piu' ci provo e peggio e'. E non potete dire che non ci ho provato. Cazzo, se uno va fino in nuova cazzo di zelanda per vedere se almeno la' c'e' qualcosa che ha voglia di fare, vuol dire che ci ha provato.
Niente da fare.
Non ho voglia di fare un cazzo.
L'unica cosa che vorrei adesso e' essere disteso su un divano e farmi carezzare la testa come un cane da passeggio.
lunedì 1 settembre 2008
Dover partire, saper tornare.
Si può camminare diretti verso qualcosa, o si può camminare solo per camminare. Io non so dove sono diretto.
28 febbraio di quest'anno.
Non so non partire, non so non tornare. Una quadrupla negazione per dare una forma alla mia confusione. Al mio sentirmi come la negazione di qualcosa, l'affermazione di nulla.
Scrivevo queste cose, il 28 febbraio di quest'anno. Vittima della contraddizione di sentirsi imprigionato dalle possibilita', mi sentivo come qualcuno chiuso fuori da una gabbia in cui non puo' entrare.
Ho viaggiato in questi giorni. Verso posti a lungo sfiorati con l'immaginazione e finalmente toccati, calpestati, osservati, annusati, vissuti.
Ho vissuto l'appagamento di quando si scopre che desiderare un luogo non significa sempre essere destinati a non andarci mai. A cercarne dei surrogati.
Ho vissuto l'indipendenza che viene dalla solitudine, e la solitudine che viene dall'indipendenza.
Ho abbandonato il luogo dove avevo vissuto gli ultimi mesi, che da meta di un viaggio e' diventato il posto in cui faccio ritorno dopo un viaggio.
Non si puo' chiamare un posto casa se non ci si ritorna da un viaggio.
Ho letto una cosa scritta da un amico, una cosa scritta un anno fa e riportata adesso, come ho fatto io con il 28 febbraio di quest'anno.
Parla del suo viaggio. Di come vi sia giunto spinto solo (solo?) dall'esistenza delle possibilita'. Io penso a quando lessi le stesse parole un anno fa, e di come mi sentissi attratto dalle possibilita' che vi leggevo.
Poi penso a come mi sentivo imprigionato dall'esistenza delle stesse possibilita', prima di partire per questo viaggio.
Adesso, rileggendo quelle parole, ripensando al mio viaggio appena concluso, so che dovevo partire. Per non essere quello che non sa tornare perche' non sa partire. Perche' questa era la prima partenza vera e non potevo continuare a vivere nell'inganno di partenze finte e ritorni finti.
Perche' una partenza vera ti costringe a cercare una traiettoria. Ed un motivo per tornare.
Un motivo vero.
E, tra partenza e ritorno, ti costringe a trovare qualcosa da essere.
Nel frattempo.
Oggi ho letto anche un'altra cosa, scritta da un'altra persona. Alla fine, diceva:
torna.
Si. Adesso ho un motivo per tornare. Se non fossi partito non avrei potuto tornare. Ma adesso si. Adesso so dove sono diretto.
Torno.
28 febbraio di quest'anno.
Non so non partire, non so non tornare. Una quadrupla negazione per dare una forma alla mia confusione. Al mio sentirmi come la negazione di qualcosa, l'affermazione di nulla.
Scrivevo queste cose, il 28 febbraio di quest'anno. Vittima della contraddizione di sentirsi imprigionato dalle possibilita', mi sentivo come qualcuno chiuso fuori da una gabbia in cui non puo' entrare.
Ho viaggiato in questi giorni. Verso posti a lungo sfiorati con l'immaginazione e finalmente toccati, calpestati, osservati, annusati, vissuti.
Ho vissuto l'appagamento di quando si scopre che desiderare un luogo non significa sempre essere destinati a non andarci mai. A cercarne dei surrogati.
Ho vissuto l'indipendenza che viene dalla solitudine, e la solitudine che viene dall'indipendenza.
Ho abbandonato il luogo dove avevo vissuto gli ultimi mesi, che da meta di un viaggio e' diventato il posto in cui faccio ritorno dopo un viaggio.
Non si puo' chiamare un posto casa se non ci si ritorna da un viaggio.
Ho letto una cosa scritta da un amico, una cosa scritta un anno fa e riportata adesso, come ho fatto io con il 28 febbraio di quest'anno.
Parla del suo viaggio. Di come vi sia giunto spinto solo (solo?) dall'esistenza delle possibilita'. Io penso a quando lessi le stesse parole un anno fa, e di come mi sentissi attratto dalle possibilita' che vi leggevo.
Poi penso a come mi sentivo imprigionato dall'esistenza delle stesse possibilita', prima di partire per questo viaggio.
Adesso, rileggendo quelle parole, ripensando al mio viaggio appena concluso, so che dovevo partire. Per non essere quello che non sa tornare perche' non sa partire. Perche' questa era la prima partenza vera e non potevo continuare a vivere nell'inganno di partenze finte e ritorni finti.
Perche' una partenza vera ti costringe a cercare una traiettoria. Ed un motivo per tornare.
Un motivo vero.
E, tra partenza e ritorno, ti costringe a trovare qualcosa da essere.
Nel frattempo.
Oggi ho letto anche un'altra cosa, scritta da un'altra persona. Alla fine, diceva:
torna.
Si. Adesso ho un motivo per tornare. Se non fossi partito non avrei potuto tornare. Ma adesso si. Adesso so dove sono diretto.
Torno.
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